Tempo e Musica ai tempi del coronavirus
Brevi riflessioni per continuare a parlare di Musica
Tempo e Identità
di Carolina Carpentieri e Francesca Cecere
È tempo di parlare di tempo? Tempo di sentirsi musicisti, vale a dire professionisti con un’identità solida e libera.
Se per identità intendiamo quell’insieme di credenze, abilità, bisogni che compongono la propria storia personale e che permettono di essere riconosciuti dagli altri, non possiamo fare a meno di riflettere su quanto il tempo che il musicista investe nello studio personale definisca la propria identità.
É pensiero comune e radicato considerare il musicista come una persona totalmente devota al suo strumento, nei confronti del quale prova una passione smodata e a cui consacra la sua vita, in modo totalizzante. Ma se un musicista non dedicasse la sua quotidianità, nella sua interezza, alla pratica dello strumento cosa accadrebbe? Come sarebbe la sua musica? E la sua vita?
Qual è la formula perfetta, o per meglio dire, la regola, che stabilisce quante ore il musicista deve dedicare allo studio quotidiano del proprio strumento, per poter raggiungere risultati soddisfacenti? Per provare gratificazione e non vacillare tra la sensazione del tempo mancato e dell’identità negata? Ovvero se non ci si sente “abbastanza bravi” ci si può riconoscere come musicisti? Valutazione e definizione come si bilanciano?
Tra le diverse opinioni al riguardo, affermati virtuosi e celebri musicisti affermano qualcosa di sorprendente: non sempre tante ore di studio al giorno garantiscono un risultato eccellente! Infatti gli ingredienti che sembrano fare la differenza nel rendere lo studio davvero efficace sono la costanza e il metodo: una pratica costantemente coltivata e metodicamente pensata sono gli elementi imprescindibili per grandi risultati, a discapito di uno studio irregolare, eccessivo, ma privo di metodo. Se così fosse, questo permetterebbe al musicista di non vivere di sola musica, ma di coltivare anche altri interessi, più o meno affini alla musica stessa, che possono contribuire a definire la sua identità. Chi dimostrando un certo eclettismo arricchisce la sua personalità e il suo mondo interiore, fertile terreno per vivere la musica e alimentare l’interpretazione, può considerarsi “meno musicista” di altri che vivono in simbiosi con lo strumento? In quale identità il musicista deve rispecchiarsi per poter essere riconosciuto come tale? La musica dovrebbe essere un campo d’azione non una forza che tiene in ostaggio il tempo e la mente del musicista. La musica, ancora, dovrebbe essere un campo di definizione del Sé e non un imperatore che governa l’io del musicista.
Corollario
La condizione del musicista viene mai osservata nella sua effettiva realtà? Per molti è una giostra felice, fatta di libertà ed espressione artistica, ma osservando le statistiche, una delle patologie più diffuse tra i musicisti e l’ansia: ansia di non rendere nelle esecuzioni, di non soddisfare la platea, di non essere ricordati dal pubblico, di aver dedicato la vita ad una ribalta costantemente incerta, perché legata a molte variabili, ma in generale un’ansia legata al raggiungimento di una identità professionale. Essere considerato musicisti di professione significa poter costruire una carriera musicale fatta di certezze. Questo prevede un’identità anche nel pubblico, che dovrebbe avere la responsabilità della fruizione e capire che la musica è una magia che costruiscono figure professionali dotate di identità e non di sola magica spiritualità.
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